sabato 18 luglio 2020

IN RICORDO DI GEORGE ROMERO

Tre anni fa ci lasciava George A. Romero, il padre degli zombie, colui che ebbe per primo l’intuizione di cambiarne la tradizione letteraria e cinematografica, trasformandoli in mostri cannibali, affamati di carne umana. 

Da quell’ormai lontanissimo 1967, quando il passaggio di una cometa sulla Terra provocava la resurrezione dei morti, il cinema dell’orrore non è più stato lo stesso, tanto forte fu l’impatto di La notte dei morti viventi, film girato quasi per gioco e diventato, presto, un cult immortale e amatissimo. 

La minaccia dei morti viventi è diventata in poco tempo uno stereotipo del cinema horror mondiale, uno dei nuovi pericoli di estinzione dell’umanità che autori, registi e produttori hanno cavalcato senza tregua per tantissimi anni, provando innovazioni e trasformazioni, ma tornando, alla fine, sempre al punto di partenza. 

La tradizione romeriana, infatti, ha sempre tenuto duro, combattendo contro ogni tipo di sconvolgimento, dagli infetti agli zombie corridori e proponendosi come unico faro in mezzo alla tempesta. 

E lo stesso George ha tenuto a sottolineare quanto la sua visione fosse quella migliore, quella più fedele alle radici haitiane della mitologia zombesca, girando ben sei film dedicati ai morti viventi e riuscendo nell’ardua impresa di rileggere il tema senza mai essere ripetitivo o noioso

Il segreto, probabilmente, era la sua straordinaria capacità di riportare sul grande schermo pregi e difetti dell’essere umano, trasformando l’invasione degli zombie in un processo sociale quasi inevitabile e irreversibile. 

I suoi film non sono mai stati banali, qualcuno, certo, è meno riuscito di un altro, ma nessuno potrebbe mai dire che non siano pieni di senso cinematografico, talmente perfetti e visivamente reali da far impallidire ogni specialista di effetti speciali. 

Già in La notte dei morti viventi, lo stile, se vogliamo grezzo, dà un taglio quasi documentaristico al film, privo di tutti quegli elementi che avevano fatto e stavano ancora facendo in quegli anni, la fortuna degli horror: «niente nebbioline da notti gotiche in cimiteri di cartapesta» scrive Danilo Arona nel volume L’alba degli zombie, ma location autentiche, personaggi reali e comuni. 

Tutto molto banale, potrebbe obiettare qualcuno, senza rendersi conto di quanto, invece, Romero avesse rotto tutti i tabù e scardinato i canoni dell’epoca, offrendo quello che oggi viene considerato un vero e proprio manifesto cinematografico

Senza tenere in considerazione il momento storico in cui uscì La notte dei morti viventi, ovvero il 1967, in piena contestazione, con la guerra del Vietnam che stava dilaniando il tessuto sociale americano, chiamato, sempre dal Maestro Danilo Arona, “cannibalismo culturale”

Nessuno, negli anni, è riuscito a raggiungere la potenza realistica e sociale degli horror zombeschi di Romero, forse perché gli anni sono passati e molte cose si sono dimenticate, oppure perché si è preferito seguire la strada più facile della paura. 

Fatto sta che lo spirito e il senso di inadeguatezza e impreparazione tramandato da capolavori come Zombie o Il giorno degli zombie sono stati traditi nel nome di un senso di divertissement che ha relegato molta parte del cinema horror moderno a futile e sterile intrattenimento.

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